giovedì 28 agosto 2014

PSICOLOGIA E CINEMA


Perché si va al cinema? Per condividere la visione con altri e successivamente scambiarsi opinioni. Per evadere momentaneamente dalla realtà e per viaggiare con la fantasia. Per riflettere su temi sociali ed etici. Le motivazioni possono essere molteplici e legate, ad esempio, alle forti emozioni che le vicende dei protagonisti di un film e l’interpretazione degli attori evocano nello spettatore: le rappresentazioni cinematografiche del tempo e dello spazio trasportano in un mondo immaginario, fuori dalla realtà e dalla quotidianità e modificano anche le abilità percettive attraverso i cambiamenti nel linguaggio cinematografico relativi a inquadrature, ritmo, sonorizzazione, tecnologie, utilizzo della musica etc. 
Il cervello di uno spettatore odierno è anatomicamente identico a quello, ad esempio, di uno spettatore di fine Ottocento, ma il contesto storico e tecnologico è diverso: gli spettatori contemporanei possiedono delle abilità percettive, alimentate anche dalla televisione e dalle nuove reti mediatiche, differenti dai loro predecessori e sono costretti a frequenti e faticosi adattamenti; per i nuovi nati invece, in virtù della storicizzazione delle funzioni cerebrali, il contesto percettivo, cinematografico e non, diventa un dato accettato e consueto. Alle origini il cinema, ad esempio quello dei Lumière e dei Méliès, emozionava in assenza di un vero sviluppo narrativo. La narrazione diventa pregnante dagli anni Venti ai Cinquanta, con il cinema classico, mentre la consapevolezza e la partecipazione critica dello spettatore divengono protagoniste dal dopoguerra agli anni Ottanta. Successivamente, uno spazio sempre crescente è riservato agli effetti speciali, alla tecnologia, al tridimensionale, al dolby-sorround. L’utilizzo di tecnologie avanzate, la creazione di immagini sempre più spettacolari e l’evoluzione degli impianti acustici hanno fatto sì che coloro che assistono allo spettacolo vengano catapultati all’interno di un film con un maggior coinvolgimento.

La vicenda cinematografica realizza la sua influenza psichica attraverso due meccanismi fondamentali, la proiezione e l’identificazione. Attraverso il primo processo, si attribuiscono agli attori idee e aspirazioni che sono dello spettatore, anche se non realizzate. Con il secondo, lo spettatore assimila l’aspetto e i sentimenti dei protagonisti dello schermo. L’identificazione può essere così intensa da indurre gli spettatori, soprattutto se in età evolutiva, a imitare, anche nella vita, gli atteggiamenti e l’abbigliamento dei propri idoli. Gli effetti sul pubblico di questi meccanismi psicodinamici sono la catarsi (purificazione) e la suggestione. In psicoterapia, il metodo catartico persegue, appunto, l’effetto di una “purificazione” attraverso una adeguata scarica, o abreazione, degli affetti patogeni. Per suggestione si intende, invece, il processo mediante cui una persona viene influenzata al punto da accettare altrui idee, credenze o modi di pensiero.
È stato osservato come l’elemento suggestivo sia una componente essenziale del fenomeno ipnotico. La forza suggestiva del film viene esaltata dalla situazione della sala; al buio, come durante il sonno, quando il contatto fisico con l’ambiente è limitato e la persona si trova in una situazione comoda e confortevole. Con l’attenzione concentrata sullo schermo, in virtù di molteplici processi fisici e mentali, lo spettatore si trova in una situazione di “rilassamento paraonirico”; qualcosa di analogo, sia pur lontanamente, a quello che si sperimenta nel sogno. Sia il sogno che il cinema rappresentano, infatti, delle forme di evasione dal mondo reale. Entrambe le situazioni, quella cinematografica e quella onirica, consentono, almeno parzialmente, di allentare la sorveglianza che si esercita su se stessi. Avviene che, per l’effetto catartico, lo spettatore sperimenta un appagamento psichico volto a ristabilire quell’equilibrio che le inconsce pulsioni insoddisfatte tendono ad alterare. D’altra parte, per l’effetto suggestivo, lo spettatore è anche indotto ad accettare più facilmente quegli elementi violenti ed erotici proposti dallo schermo, la cui ricerca potrebbe conseguentemente ritornare, in forme più o meno accentuate, anche nella vita reale. Queste mobilitazioni affettive, evocate dal cinema, costituiscono, fin dai suoi esordi, un problema a cui la società ha tentato di far fronte con l’istituto della censura. Va osservato che buona parte degli effetti che consentono la catarsi, possono promuovere contemporaneamente la suggestione. Non c’è azione catartica senza una profonda identificazione; ma l’identificazione è anche alla base dell’azione suggestiva. La valenza delle due diverse azioni va messa in relazione alle differenti personalità degli spettatori.
È interessante ritrovare, nei personaggi creati dal cinema, un aspetto della struttura della psiche concepita da C.G. Jung (1875-1961), uno dei più grandi pionieri della psichiatria dinamica. L’aspetto in questione è "l’ombra" che è definita da Jung come la somma di tutte quelle caratteristiche che il soggetto vuole nascondere sia a se stesso che agli altri, solo che così facendo, cioè tentando di nasconderla, non fa altro che aumentare la sua forza. Nel momento in cui l’ombra diviene più potente, liberandosi dal giogo della vera personalità, commette azioni malvagie senza che questa se ne accorga. Esempi di questo tipo si ritrovano in molti personaggi cinematografici (come anche letterari) come Il Dottor Jeckyll e Mr. Hyde.
I film che attirano più pubblico sono, generalmente, quelli in cui compaiono quei fattori nascosti che agiscono negli strati profondi della mente. Fattori che non si possono o non si vogliono soddisfare nella vita reale, ma a cui non si riesce a rinunciare completamente. Il film, entro certi limiti, consente di appagare, in forma innocua, quegli impulsi che la coscienza considera proibiti. Sono soprattutto gli elementi propri della vita istintuale ad essere mobilitati dal film. Ciò spiega perché, nella produzione cinematografica, l’erotismo e la violenza abbiano un così gran spazio. Anche se non sempre si è disposti a riconoscerlo, i temi erotici, quelli aggressivi e, in genere, le passioni interessano in modo particolare.
Applicazioni del cinema La psicologia fisiologica della percezione cinematografica svolge attualmente ricerche che vanno dallo studio dei neuroni specializzati nell’analisi delle singole caratteristiche di movimento degli stimoli visivi, fino alla registrazione dei movimenti oculari dello spettatore. Per i ricercatori, il film è divenuto uno strumento scientifico per studiare la mente umana; come fecero numerosi grandi psicologi del passato (Lorenz, Von Fritsch, Spitz, Pavlov, Kohler, ecc.) che ricorsero al cinema sia per illustrare le loro scoperte, sia per individuare i “dati” delle ricerche. La percezione cinematografica, per molti aspetti, è un campo che promette ancora interessanti contributi alla ricerca. Ad esempio il cinema in tre dimensioni, ormai diffusissimo nelle sale di tutto il mondo e che prevede l’utilizzo di speciali occhiali per la fruizione, rappresenta un nuovo strumento per la medicina: l’idea è di utilizzarlo per la riabilitazione neurologica, perché può aiutare a stimolare aree cerebrali danneggiate e a riattivarne la funzionalità.
Le ricerche più recenti delle neuroscienze si affiancano a quelle della psicoanalisi nel sottolineare il ruolo dell’immagine nell’organizzazione delle mappe neurali che rappresentano l’unità del sistema nervoso.
L’utilizzo del cinema può avere anche finalità terapeutica, relativa a psicosi, nevrosi, disturbi dell’umore, uso con pazienti psicosomatici, pazienti oncologici, pazienti terminali e terapia della famiglia. In generale, la modalità clinica permette di intervenire nell’area cognitiva, in cui è possibile migliorare alcune competenze come lo schema corporeo, l’apprendimento di concetti, l’area emotiva, incrementando la capacità di manifestare positivamente dei vissuti emotivi, sostenendo il superamento di paure e fobie e migliorando la stima di sé e l’area psicomotoria, in cui è possibile migliorare l’orientamento spaziale e la coordinazione motoria.
Il cinema può anche avere anche un efficace ruolo di facilitatore di conoscenza e di apprendimento nell’ambito della formazione. Guardare sullo schermo delle tranches di realtà immaginaria, ricostruita a uso e consumo di uno spettatore, aiuta il docente a farsi capire meglio e il discente a memorizzare ciò che vuole e deve imparare. In nome di questo semplice ed efficace valore aggiunto, si fa ormai largo uso del cinema nei processi educativi-formativi. Ad esempio, in ambito scolastico con fini di istruzione, educazione, dibattito su temi, il cinema può essere utilizzato da insegnanti, docenti, educatori, opinion-leader per proporre tematiche, suggerire soluzioni facendo riferimento agli esempi narrati nel film, stimolare la discussione su argomenti relativi all’età evolutiva o alle problematiche adolescenziali e giovanili. La modalità didattica può anche essere utilizzata con finalità sociologiche, di dibattito politico e culturale, tipica dei Cine-Forum. 
A cura di Barbara Celani, 
Psicologia in Movimento


Bibliografia Angelini A. (1988), La psicoanalisi in Russia, Napoli, Liguori
- Angelini A. (1992, rist. 2005), Psicologia del Cinema, Napoli, Liguori.
- Angelini A. (2002), Pionieri dell’inconscio in Russia (antologia), Napoli, Liguori.
- Arnheim R. (1933-1938), Film come arte, Il Saggiatore, Milano, 1960.
- Balbo E., L'utilizzo del cinema per la formazione degli adulti, www.opsonline.it
- Ejsenstejn S. (1949), Forma e tecnica del film e lezioni di regia, Einaudi, Torino, 1964.
- Musatti C. (1963), Problemi psicologici del cinema, Cinestudio, n° 9.
- Vygotskij L. (1925), Psicologia dell’arte, Editori Riuniti, Roma, 1972.
Il cinema in 3D è una risorsa per la riabilitazione neurologica Articolo tratto da: www.iltempo.it
- Valentini T., Cinema e Psicologia, www.correrenelverde.it/cinema/cinemaepsicologia.htm
- www.cinematerapia.it

giovedì 26 dicembre 2013

Triste Natale: Come affrontare le festività Natalizie se ci sentiamo tristi.




Chi l’ha detto che le feste portano solo felicità e allegria?
Non è assolutamente vero. Lo scrittore Manganelli scrive in proposito: “L’infelicità del Natale è un’infelicità elusiva, viscida, serpentesca, e insieme calamitosa. Sembra di vedere tutte le imperfezioni della propria vita e il fatto che ciò capiti in un periodo che invece, sin da bambini, si è stati educati a vedere in modo magico provoca uno stridente e inappropriato senso di colpa. Le festività e le ricorrenze scandiscono le stagioni da sempre, rimandando un’immagine idilliaca e buonista, di “letizia forzata”, che spesso non ci appartiene, provocando l’insorgenza di sentimenti di tristezza e di umore depresso. Abbiamo l’amara sensazione di dover scattare una specie di fotografia psicologica e affettiva che costringe al confronto e alla differenza fra ciò che dovremmo essere e non siamo, che dovremmo provare e non proviamo…..”.
Le parole dello scrittore milanese ci fanno realizzare che  spesso il Natale non è solo  stelle rosse e pacchetti luccicanti, per molte persone il Natale  non è proprio un momento di festa e, anzi, i tanti sorrisi e gli auguri di felicità possono addirittura infastidire chi dentro sé stesso non trova la minima traccia di un’emozione positiva.
Essere infelici a Natale ci sembra un paradosso: ci fa sentire in colpa, sembra ingiusto, un tradimento del comune sentire e gioire. Ci dispiace rovinare la festa agli altri, ma spesso non riusciamo a nascondere questo stato d’animo. Negli altri giorni i sentimenti tristi sembrano meno intensi e presenti  e pertanto tollerabili. E’ proprio il contrasto con l’ideale perfetto della ‘felicità natalizia’ che rende in questi giorni più aspra la pena.
Le festività natalizie sono considerate senza dubbio un evento stressante da un punto di vista psicologico, che talvolta si arena nella cosiddetta “depressione natalizia”, una tristezza profonda che  coglie prima, durante e dopo le festività.
Il Natale, festeggiamento collettivo del bene e celebrazione dell’amore assoluto, può amplificare il personale vissuto del dolore, della perdita, dell’abbandono, renderlo più acuto, più intenso. La solitudine potrebbe disegnare confini più marcati tra noi e gli altri che appaiono felici.
Sin dal primo famoso articolo apparso nel 1981 sugli Archives of General Psychiatry, dal titolo significativo di ‘Christmas and psychopathology’, si è descritto il cosiddetto ‘Christmas Effect’, che provoca un aumento dei ricoveri e delle richieste di aiuto per motivi psicopatologici. In particolare disturbi depressivi e disturbi alimentari psicogeni soprattutto per donne ed anziani.
Più spesso la depressione di Natale è di breve durata, da pochi giorni a poche settimane ed in molti casi passa quando le vacanze sono finite e si ritorna alla routine quotidiana. Qualcuno però va oltre e finisce per passare dall’infelicità, sentimento comunque normale, alla depressione clinica. Ci sono molte cause per questo tipo di disturbo dell’umore che può diventare una vera depressione, con sintomi che sono gli stessi della depressione clinica.
Quali fattori possono contribuire alla depressione di Natale?
- Aumento dello stress
– Fatica
– Aspettative non realizzate
– Vulnerabilità biologica alla stagione ed alla scarsa irradiazione solare
– Difficoltà a stare con la famiglia
– Ricordi di celebrazioni passate
– Pressione sociale per i consumi eccessivi
– Cambio della dieta
– Cambiamenti nella routine quotidiana
I sintomi più comuni della depressione da festività sono:
- Mal di testa
- Disturbi del sonno
- Cambiamenti nell’appetito causati da perdita o aumento di peso
- Agitazione o ansia
- Sensi di colpa
- Diminuzione della capacità a pensare chiaramente o a concentrarsi
- Soffrire per coloro che mancano e non riuscire a godere della presenza e dell’affetto di chi ci è vicino
- Abulia, incapacità di divertirsi e di condividere la gioia con gli altri
- Aumentata litigiosità per motivi futili, facilità al pianto
- Diminuzione dell’interesse in attività che normalmente portano piacere come: cibo, sesso, lavoro, amici, hobby e divertimenti
- Tristezza persistente, ansia, ma soprattutto senso di “vuoto”
- Pessimismo, sfiducia nel futuro

Talora queste sensazioni accompagnano tutto il periodo, per poi svanire finite le festività, altre volte proseguono anche dopo e possono anche aggravarsi.
In questi casi è necessario chiedere un aiuto specialistico.
In conclusione ci chiediamo: come è possibile difendersi dalla depressione da feste?
Ecco qualche utile suggerimento:
- Impariamo ad accettare il fatto che non siamo davvero obbligati a professare felicità: se stiamo vivendo un momento difficile non possiamo obbligarci ad essere felici, piuttosto dobbiamo prenderci spazio e tempo per esprimere il nostro dolore, non per negarlo
- Condividiamo questi vissuti con altre persone care: senza vergognarci, parliamo di come ci sentiamo. Questo consentirà di superare quel sentimento di solitudine che alimenta ulteriormente la tristezza e di normalizzare l’emozione provata. Insieme ad altre persone, inoltre, è possibile trovare maggiori modalità di superarla in maniera efficace.
 - Stiamo attenti agli eccessi: mangiare o spendere eccessivamente. In particolare freniamo la compulsione da shopping che è sempre un’arma a doppio taglio: compensatoria ma potenzialmente depressiva, se non fatta nella giusta misura; molte persone non possono spendere quanto vorrebbero per i regali, o spendono più di quanto realmente possono. Questo è un fattore potenzialmente depressivo
  -Cerchiamo di non indugiare troppo in ricordi di celebrazioni passate, che inevitabilmente portano al confronto triste o alla malinconia
- Non stravolgiamo i nostri ritmi abituali: Non cercate di fare più cose di quelle che potete fare, tenete il vostro ritmo. Prendetevi il vostro tempo, organizzate delle pause per recuperare e rilassarsi
- Non isoliamoci: se ci sentiamo soli possiamo provare ad aiutare chi potrebbe avere bisogno di noi: sono moltissime comunità che organizzano il Natale per i poveri, per i malati, per i bisognosi. Partecipare ad un progetto di questo tipo potrebbe nutrire il nostro spirito e farci sentire davvero parte di un gruppo che vive il senso della solidarietà, non scartando regali ma avvicinandoci agli altri
- Cerchiamo di evitare il ‘Post Cristhmas let-down’, cioè le crisi del dopo Natale con programmi adeguati: ad esempio non rimanete privi di progetti poiché può favorire la melanconia.
- Facciamo attenzione a non formulare propositi di cambiamenti drastici dopo Capodanno: del tipo parto volontario in Africa o trovo l’uomo della mia vita…ma poniamoci degli obiettivi realistici da raggiungere gradualmente
- Facciamo attività fisica all’aria aperta: nonostante il clima e soprattutto nelle ore di luce (va bene anche fare lunghe passeggiate)
- Cerchiamo  di capire quali possano essere i motivi veri della forma depressiva, utilizzandola come una risorsa per individuare un punto da dove partire per lavorare su di sé. Se i nostri vissuti di depressione proseguono anche dopo le festività e sentiamo di vivere un disagio che non riusciamo più a gestire da soli  non vergogniamoci a chiedere l’aiuto di uno psicologo


venerdì 19 luglio 2013

La preghiera della Gestalt



LA PREGHIERA DELLA GESTALT


Io sono io. Tu sei tu.
Io non sono al mondo per soddisfare le tue aspettative.
Tu non sei al mondo per soddisfare le mie aspettative.
Io faccio la mia cosa. Tu fai la tua cosa.
Se ci incontreremo sarà bellissimo;
altrimenti non ci sarà stato niente da fare.

Fritz Perls (1893-1970)

mercoledì 16 gennaio 2013

Chi sono....















"Che mi venga concessa la serenità di accettare le cose che non posso cambiare, il coraggio di cambiare le cose che posso cambiare e la saggezza di distinguere tra le due." F. Perls



Sono convinta che il trattamento psicologico consista, oltre alla cura di patologie, disturbi o traumi, in un percorso verso la realizzazione di se stessi attraverso la crescita personale e con la creazione di una relazione terapeutica rassicurante ed empatica.

Mi sono laureata in Psicologia Clinica e di Comunità presso l'Università degli Studi di Urbino (PS) nel 2000.
Sono iscritta nell'Albo degli Psicologi Abruzzo con N° 737.
Sono Specializzata in Psicoterapie integrate, ad Indirizzo fenomenologico-esistenziale presso l'ASPIC di Roma.
I principali modelli di riferimento della mia scuola di formazione sono il modello rogersiano e la Gestalt. L'approccio integrato è un approccio flessibile, creativo, eclettico e consente di adattarsi alle esigenze del paziente rispettandone l'unicità.

Mi occupo di terapia individuale, di coppia e di gruppo.
I miei principali ambiti d'intervento sono: i disturbi di personalità, disturbi d'ansia e depressione, disturbi della sfera alimentare, problemi d'identità sessuale, ma anche di crescita personale, difficoltà relazionali ed handicap. Sostegno genitoriale e alla coppia. Problematiche adolescenziali. Effettuo consulenze psicodiagnostiche.
Iscrizione presso il tribunale di Teramo come CTU e CTP.
Perizie civili e Danno psicologico.

Area Infanzia: mi occupo di consulenza ai genitori per orientamento scolastico, problemi dello sviluppo, handicap, problemi emotivi, disturbo dell'apprendimento, iperattività, oppositività, timidezza, ansie e fobie scolastiche.

Conduco Laboratori di Arteterapia e Laboratori sul Sogno.
Collaboro con l'AIPD di Teramo e di S. Egidio alla Vibrata.
Collaboro nelle docenze con l'ASPIC di Giulianova.

Sono socia dal 2006 dell'Associazione Psikè di Teramo che si occupa di salutogenesi e benessere dell'individuo.

Sono socia della PEA Psicologi dell'emergenza Abruzzo.

martedì 4 settembre 2012

L'Approccio Centrato sulla Persona



La Psicoterapia Centrata sulla Persona è un modo di relazionarsi con le persone, da individuo a individuo o in gruppi, che favorisce lo sviluppo della personalità attraverso l’incontro personale. Questo tipo di psicoterapia parte dal presupposto che ogni persona ha la capacità e la tendenza ad utilizzare le proprie risorse in modo costruttivo. Il fatto di vivere in maniera soddisfacente, sia dal punto di vista individuale sia nelle relazioni, viene realizzato attraverso una autocomprensione crescente, e quindi con un’apertura meno difensiva nei confronti del flusso dell’esperienza. Questa tendenza attualizzante delle proprie potenzialità è stimolata e sostenuta dall’incontro da-persona-a-persona. Questo incontro di un altro individuo è una forma di relazione caratterizzata dal rispetto fondamentale ed esplicito del terapeuta. La qualità della presenza del terapeuta in questo incontro è autentica, congruente, con il riconoscimento (positivo) incondizionato della alterità individuale del cliente, profondamente empatica e non giudicante. Sia il terapeuta che il cliente crescono insieme in questa relazione.

Questi principi generano alcune caratteristiche essenziali alla psicoterapia centrata sulla persona sia nella pratica individuale sia in quella con i gruppi.

La sua caratteristica peculiare è che pone l’esperienza del cliente, del terapeuta e il presente immediato della loro relazione al centro dell’attenzione. 

Inoltre, la terapia centrata sulla persona tenta di collocare il suo “lavoro” il più vicino possibile all’esperienza del cliente nella relazione presente. Quindi, è la pratica dell’immagine di un essere umano che comprende l’uomo come persona. L’esperienza dell’individuo viene presa seriamente senza nessuna precondizione, ma semplicemente come egli/ella è nell’immediato; come la persona è divenuta ed è attraverso le sue relazioni; quello che è al presente e come è capace di divenire in futuro. Questo include il divenire della persona, come è nelle relazioni, come è al momento attuale e come riesce a svilupparsi ulteriormente nel suo futuro.

Si dà fiducia alla capacità del cliente di essere capace di vivere la propria vita e di affrontare i problemi contando sulle proprie risorse, nel caso in cui possa vivere una relazione dove siano presenti certe condizioni facilitanti.
Tutto ciò comporta la rottura con l’immagine e la funzione tradizionali del terapeuta come esperto dei problemi del cliente.
Al contrario, il terapeuta si considera collaboratore e compagno che cresce insieme al cliente in un processo di incontro da-persona-a-persona. Un’altra caratteristica fondamentale della psicoterapia centrata sulla persona è che la teoria e il linguaggio centrati sulla persona sono vicini all’esperienza colloquiale. Infine, l’incoraggiare apertamente la ricerca continua e lo sviluppo ulteriore della teoria e della pratica, è stata parte della tradizione centrata sulla persona da oltre 60 anni. 


Al di là della psicoterapia, l’Approccio Centrato sulla Persona è un modo di essere e di lavorare con le persone in una vasta gamma di ambiti della sfera umana, dove le relazioni interpersonali hanno un ruolo centrale.
fondamenti dell'Approccio sono quindi la centralità della persona, percepita come essere globale, unica ed irripetibile; la fiducia nelle potenzialità di ogni singolo individuo; la funzione centrale della consapevolezza, qualità non esclusivamente intellettuale, ma radicata nell'esperienza emotiva di ogni singola persona; il concetto di esperienza come processo attivo e continuo in cui ognuno attribuisce un personale significato agli eventi della vita, la rilevanza del qui ed ora della vita delle persone rispetto alle esperienze passate dei primi anni di vita, l'importanza del fatto che le persone che intraprendono un percorso di sostegno psicologico o di psicoterapia sono clienti, persone sane che vivono un momento di difficoltà, e non pazienti, persone malate che il terapeuta guarisce.

giovedì 17 febbraio 2011

Quando consultare uno psicologo?




Rivolgersi ad uno psicologo è una scelta strettamente personale.
Si tratta quindi di una decisione che una persona prende sulla base della propria sofferenza, fondamentalmente quando ritiene di aver tentato di trovare da sè e insieme alle persone che hanno rilevanza affettiva nella sua vita, le vie di uscita dal proprio malessere ma di ritrovarsi ciò nonostante con la sensazione di essere "incastrata" nella propria condizione a volte senza via d'uscita.

Quindi quando è necessario rivolgersi ad uno psicologo per una consulenza ed una eventuale psicoterapia?

Un supporto psicologico può essere utile per una crisi temporanea, per favorire una crescita interiore personale, per delle esigenze di orientamento, per raggiungere una maggiore e migliore consapevolezza di sé, degli altri e del proprio contesto familiare, sentimentale, sociale, lavorativo o scolastico.

Un qualsiasi cambiamento o evento nella propria esistenza (come cambiare lavoro, sposarsi, crescere, avere dei figli, superare degli esami, etc.) può risultare di difficile elaborazione e superamento. In tal caso una consulenza psicologica può risultare un benefico supporto ed aiuto positivo, traghettando la persona attraverso il disagio interno fino alla sua attenuazione e/o scomparsa.

Un supporto psicologico può essere utile per migliorare e capire la propria parte interna ritrovando un giusto equilibrio in essa e con il mondo esterno.

Un supporto psicologico da parte di uno specialista della salute mentale può essere utile per creare uno spazio diverso da quelli abituali della vita di tutti i giorni dove confidarsi e confrontarsi, ed al quale riferirsi come punto di riferimento.

Lo Psicologo è formato e preparato per il primo ascolto, valutazione, diagnosi, orientamento e supporto, riguardo a tutti i disagi e disturbi psicologici, ed è la principale figura di riferimento per tutti coloro che vedono compromessa la propria salute psicologica.

Lo Psicologo, dopo l'analisi del problema e tutti gli accertamenti del caso, può intervenire direttamente tramite tecniche di consulenza o indirizzare miratamente verso i professionisti specialisti più adatti, come nel caso della psicoterapia per i disturbi psichici che necessitano di tale tipologia di trattamento.

Lo Psicologo è la figura di riferimento professionale anche per tutti coloro che desiderano monitorare e migliorare il proprio benessere psicologico, potendo essere di aiuto nell'ottimizzazione della qualità della vita, nel supporto alle normali crisi di crescita o nell'adattamento agli eventi più significativi (ingresso scolastico, matrimonio, gravidanza, lutto etc.).
Si possono rivolgere allo Psicologo le persone che desiderano ridurre lo stress relativo alla dimensione lavorativa, comprendere e risolvere i normali conflitti relazionali; inoltre tutti coloro che vogliono aumentare generalmente il senso di consapevolezza riguardo alla loro vita e alla realizzazione di se stessi.

lunedì 11 ottobre 2010

TERAPIA DI GRUPPO





Cos’e il gruppo di crescita personale?
E’ un gruppo composto da persone che per varie ragioni di vita si sono trovate a convivere con problemi simili, e desiderano affrontarli; ma è anche composto semplicemente da persone che vogliono crescere in termini di risorse esistenziali.
I temi vengono elaborati in prima persona attraverso il confronto, la condivisione e lo scambio di informazioni, emozioni, esperienze e problemi. Nel gruppo si ascolta e si è ascoltati, senza pregiudizi, in un clima armonioso in cui si scoprono e si potenziano le proprie risorse interiori. Tale gruppo si autogestisce seguendo un sistema condiviso di obiettivi, regole e valori, come ad esempio la riservatezza e la tutela della privacy; rivolge una particolare attenzione alle origini individuali dei problemi, senza però trascurare i fattori sociali, incrementando le capacità relative alla sfera emotiva e interpersonale. Diventa fonte di sostegno, spesso anche pratico.